Tema Bordin - Gruppo Alpini Crocetta del Montello

- Sezione di Treviso -
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Attività > La scuola > Secondaria di 1° grado > Temi 2004-2005
Testo del tema presentato da Angelo Bordin, classe III E
premiato nell'anno scolastico 2004-2005
“La guerra è un’avventura senza ritorno”.
Questa frase l’ho sentita dire da Papa Giovanni Paolo II e mi è rimasta impressa nella mente.
La seconda guerra mondiale ha lasciato il segno anche nella mia famiglia: il mio bisnonno Pietro Bordin è stato ucciso dai tedeschi, perché aveva sentimenti antifascisti.
Dopo la dichiarazione di guerra alla Germania da parte dell’Italia (13 ottobre 1943), affiancata dagli alleati angloamericani, il movimento partigiano della Resistenza al fascismo era sorto in molti paesi e in molte città d’Italia.
Esso era formato da uomini e donne, operai e contadini, professionisti e sacerdoti. Questo esercito di anonimi si prodigò in mille modi, spesso a rischio della propria vita, per dare aiuto, rifugio, cibo e vestiario ai perseguitati e ai ricercati dai nazifascisti tedeschi e dai nazifascisti italiani, le famose camicie nere.
Nel maggio del 1944 le formazioni partigiane settentrionali si organizzarono come esercito regolare e costituirono il comando di un corpo volontario della libertà.
Come altri suoi compagni, anche il mio bisnonno Pietro sentiva forte il desiderio di liberazione dallo schiavismo nazifascista. In quel tempo egli era un contadino e viveva con la moglie e i suoi cinque figli a Ciano del Montello.
Uno dei suoi figli, Ferdinando, era in guerra in Russia egli altri ragazzi erano stati poi sospettati dai tedeschi di essere partigiani come il padre, poiché non erano soldati.
Per arrotondare il salario, Pietro raccoglieva armi e munizioni, ormai inservibili, per rivenderle a qualche persona interessata a quei reperti.
I tedeschi avevano occupato diverse zone del Veneto e con i loro soldati tenevano la gente sotto controllo. Le basi più vicine si trovavano a Montebelluna nella villa Morassutti, a Covolo e a Treviso.
Le bande armate dei partigiani agivano per lo più nei centri abitati, grandi e piccoli con attentati alle istituzioni del nemico e con azioni di sabotaggio.
La sorte di Pietro partì da uno di questi attentati, deciso dai partigiani verso un ufficiale tedesco.
Il 25 agosto 1944 un gruppetto di partigiani di Ciano si apposta all’interno dell’osteria da Mazzocato in via Erizzo e spara ad un ufficiale mentre sta passando a bordo di una berlina nera, guidata da un soldato.
L’auto sbanda, rovesciandosi in un fossato. Il soldato incolume esce dal veicolo con la pistola in pugno, va verso l’osteria, prende la prima bicicletta che trova e si avvia verso Covolo sparando all’impazzata temendo che i partigiani intervengano ancora. Invece loro erano già scappati verso il Montello. Poco dopo il fatto arrivò una pattuglia di soldati; l’ufficiale tedesco era morto e quindi iniziò la rappresaglia.
Dopo aver fatto sgombrare i proprietari dell’osteria, i tedeschi diedero fuoco alla casa, pensando che fosse la base dei partigiani. Il giorno dopo, davanti alle macerie ancora fumanti della casa, arrivano dei camion, dai quali scendono numerosi soldati tedeschi che bloccano la strada piazzando le mitragliatrici.
Fermano circa un centinaio di persone; arrivano due pullman, da uno scendono altri soldati con i mitra spianati, dall’altro scendono sei uomini, che sembrano non capire che cosa stia succedendo.
Erano stati prelevati dalle carceri di Treviso e forse pensavano di andare da qualche parte a lavorare. In breve capiscono però quale sarà il loro destino.
I sei disperati vengono fatti allineare sotto un albero e fucilati a bruciapelo dai tedeschi, che agiscono in fretta, perché temono una nuova azione dei partigiani, Le persone che hanno assistito a tutto ciò vengono avvertite di non tentare nulla per non fare la stessa fine.
I corpi dei poveretti vengono lasciati per un giorno così come erano caduti per ammonire chi voleva andare contro le regole.
Il 29 Agosto arriva a Montebelluna un grosso contingente di militari tedeschi e italiani, le camicie nere. Una parte di essi raggiunge Ciano a bordo di Jeep e numerosi soldati armati, dividendosi in pattuglie, iniziano i rastrellamenti. Hanno ordini e indicazioni precise. Perquisiscono molte case, spaventando a morte chi vi abita.
Il 30 agosto continuano il rastrellamento e giungono al panificio di Saladini Remigio.
Sta uscendo un giovane per prendere l’acqua dalla fontana per poter fare l’impasto del pane. E’ Morgan Armando, ha diciannove anni ed è ignaro di tutto. Viene prelevato e portato a Montebelluna per essere interrogato.
Un’altra pattuglia arriva alla casa di Pietro Bordin e dopo averla perquisita e visto le armi e munizioni che lui teneva, anche se erano inservibili, viene accusato di nascondere armi per i partigiani e portato anche lui a Montebelluna per l’interrogatorio.
Il 31 agosto, a Ciano arrivano molti soldati, si fermano all’osteria “da Martinelli” e si appostano con le mitragliatrici per difendersi da un eventuale attacco.
Vengono fatti i preparativi per l’impiccagione. Da un camion scendono Bordin Pietro e Morgan Armando. I compaesani si raccolgono intorno agli sfortunati e qualcuno va a chiamare il parroco Don Carlo Massara che tenta, inutilmente, di convincere il comandante a risparmiarli.
Pietro viene fatto salire per primo sul patibolo e prima di morire mormora: “perdono, perdono a tutti”. Poi è la volta di Armando che si scoprirà essere del tutto innocente.
Dopo questi avvenimenti la gente del paese avrà paura e non vorrà più sentir parlare di partigiani, che vedranno aumentate le difficoltà.
Molte persone di Ciano del Montello saranno interrogate dai tedeschi e, per salvarsi la vita, dovranno accettare di collaborare con loro.
Verranno portate poi in Germania nei campi di lavoro. Mi ritornano in mente ora le parole “la guerra è un’avventura senza ritorno”; per il mio bisnonno Pietro è stato così e anche per suo figlio Ferdinando che era andato in guerra in Russia e di lui non si è più saputo nulla.
Comunque sono e sarò sempre profondamente molto orgoglioso di loro.
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