Capitolo IV*

LE S.S.

Nella sera del 29 Agosto sulle pendici occidentali del Montello echeggiarono spari diversi del solito e numerose detonazioni di bombe a mano.

Si era saputo che durante la giornata erano arrivate a Montebelluna, accantonando a villa Morassutti, numerose truppe con uniformi tedesche; parte erano venute in autocarro parte col treno. Fra i militari di fresco arrivati non mancavano, purtroppo, quelli di lingua italiana, alcuni, anzi, parlavano il dialetto veneto tradendo la loro origine. Uno di questi in un negozio aveva detto che ben presto la zona sarebbe stata teatro di scene singolari: gli alberi della piazza di Montebelluna avrebbero servito ad impiccare molte persone. Inoltre, da parte degli inglesi non sarebbe mancato qualche buon bombardamento aereo perché, da per tutto dove erano passate le formazioni di S.S. gli aeroplani alleati avevano portato la distruzione e la morte nella vana speranza di colpire le S.S., che invece, più fortunate, erano sempre rimaste illese.

Messe in relazione le facezie sopra riportate cogli insoliti spari di quella sera, la popolazione ebbe la previsione di gravi avvenimenti. Difatti, nelle prime ore della mattina successiva, 30 agosto, un grosso contingente autotrasportato di uomini in uniforme tedesca ed in camicia nera, invasero Crocetta, Ciano e Nogarè.  Con violenze, minacce e gli insulti più atroci entrarono nelle case dei cittadini inermi e, col pretesto di cercare armi e uomini atti al servizio militare, ma col deliberato proposito di terrorizzare, operarono minute perquisizioni nelle case e sulle persone. Armi non ne furono trovate. Più di qualche famiglia, invece, ebbe a constatare, a perquisizione ultimata, la sparizione di denaro, oggetti preziosi, scarpe, effetti di vestiario, salumi e scorte di viveri. Polli e conigli in quantità, maiali ed anche bovini furono le spoglie opime della magnifica azione di rastrellamento e vennero trasportati alla sede del comando delle S.S.. Ed ancora se le cose si fossero limitate all’estorsione, al furto e all’abigeato non avrebbero varcato il limite di quanto la popolazione poteva logicamente attendere da uomini e da spedizioni del genere. Siccome, però, era nelle consuetudini che ogni rastrellamento dovesse avere delle vittime umane, le vittime vi furono.

Percorse le strade di Ciano, - e di Ciano intendo narrare i fatti, chè vittime vi furono in quello e nei giorni successivi in tutta la zona montelliana – i militi delle S.S. si presentarono a casa Buogo e, stando dal cortile, con voce di dileggio chiamarono: Egidio! Buogo Egidio, sergente pilota, scese indossando l’uniforme e si presentò. Fu immediatamente colpito a sangue con pugni, schiaffi, calci; gli furono strappati e gettati in faccia i nastrini delle medaglie al valore guadagnate in guerra. Poi cacciato su un autocarro fra gli insulti e le percosse.

Un povero ragazzo di 19 anni, Morgan Armando fu Giuseppe, apprendista fornaio, era uscito dal forno Saladini con due secchie per attingere acqua alla vicina fontana. Alla vista degli energumeni che avanzavano urlando, imprecando e sparando, gettò le secchie e tentò di rientrare. Fu ghermito, bestialmente percosso e cacciato col Buogo.  In quello stesso tratto di strada venne preso, percosso ed anch’egli gettato in autocarro un altro fornaio, Martinelli Olvadro, già soldato degli alpini, figlio di un mutilato di guerra 1915-1918. Martinazzo Angelo subì la stessa sorte. Oltre la Chiesa di Ciano vennero strappati alle loro famiglie, percossi e brutalmente cacciati, a guisa di bestie, su autocarri, il giovane Buratto Battistino di Cesare, Pietro Bordin, uomo di circa 60 anni ed altri ancora. Alcuni di questi furono raccolti dietro la Chiesa fra gli scherni, gli insulti e le percosse dei loro nefandi custodi. Verso mezzogiorno vennero trasportati a Montebelluna a villa Morassutti, sede del comando delle S.S.. Chi li vide passare notò i loro visi gonfi e sanguinolenti. Il rastrellamento proseguì sul Montello, portando ovunque l’incendio, il terrore, la rovina. Le case di Bellini Fortunato e Reginato Quinto, furono bruciate perché i figli dei proprietari erano partigiani.

Gli uomini, nella tema di venire deportati in Germania, avevano trovato scampo nei recessi del bosco e fra gli sterpi delle grave. Le donne, rimaste nelle case, avevano assistito impotenti a tante nefande brutalità.

Verso le 18 gli autocarri e le autoblinde furono di ritorno passando per Ciano. I tedeschi passavano muti, impassibili. I fascisti cantavano gli inni del partito: facce stravolte dal vino e dall’odio di parte.

Nelle prime ore del giorno appresso, le S.S. erano nuovamente a Ciano. La formazione si snodò sulla pedemontelliana, il centro fece tappa di fronte all’osteria Martinelli. Da un autocarro furono fatti scendere Pietro Bordin ed il giovane Armando. Erano stati condannati a morte. Da chi? Dal comando della S.S.. Mentre dalle finestre sovrastanti la porta dell’osteria venivano preparati i capestri, un’auto corse a prendere il Parroco. Al Bordin intanto fu permesso, sotto buona scorta, di andare a salutare la sorella abitante nei pressi. Al Morgan fu concesso di parlare con la sorella accorsa. La ragazza, angosciata, domandò al fratello se era stato bastonato tanto, ed il povero giovane, per non recarle maggior dolore: No – rispose con un mesto sorriso – non molto. Ultimata la confessione, il Parroco si rivolse ad un sergente tedesco che parlava un poco l’italiano avvertendolo che venivano uccisi due innocenti. Il sergente, incredulo, mostrò al Sacerdote i corpi di reato sequestrati in casa Bordin: consistevano in una sola cartuccia per fucile tedesco ed in alcuni rottami di bombe a mano e granate imbrattati di fango, residuati della guerra 1915-1918. Insomma, di alcuni pezzi di quel materiale che si trova sempre nei nostri campi durante i lavori di scasso del terreno. Il Parroco insisté per far comprendere l’enormità che si stava commettendo e chiese di parlare con il Comandante la colonna. A mezzo dell’interprete parlò ad un colonnello tedesco. Disse che il Bordin comperava i rottami raccattati nei campi non per farne uso, ma per rivenderli come voleva il suo povero commercio di compra vendita di stracci e ferro vecchio. Aggiunse, anche, che il Morgan non era affatto un partigiano, né aveva mai portato pane ai partigiani come lo si accusava: si trattava di un garzone incaricato di recapitare al mattino il pane agli esercenti clienti del suo principale. Il colonnello Dierich… tipo perfetto del tedesco raffinato, fece rispondere che la sentenza era stata data e senz’altro l’avrebbe fatta eseguire per dare un buon esempio al paese.

Con la solerte ed entusiastica opera di due giovani rinnegati italiani, i quali in seguito ebbero a dirsi uno romano, l’altro fiorentino, i capestri erano stati saldamente assicurati all’interno di casa Martinelli.

Vicino al primo fu collocato in piedi, sopra la cabina di un autocarro, le mani legate dietro la schiena, il buon Pietro Bordin. I tentativi per impiccarlo si rinnovarono tre volte. Il capestro era troppo corto e fu soltanto alla terza prova, dopo aver messo qualcosa sotto i piedi del paziente, che il laccio gli arrivò alla gola. Si mosse allora l’autocarro ed il misero corpo penzolò nel vuoto scosso dagli ultimi spasimi. Il Morgan, calmo, rassegnato, quasi incredulo della sorte imminente, assistette all’impiccagione del compagno di sventura, mormorando fra sé: Che male ho fatto io? Cosa ho fatto?

Poi venne la sua volta.

I due impiccati si dibattevano ancora dondolando dal capestro, che gli uomini delle S.S. come colti da improvvisa frenesia si abbandonarono ad una gazzarra infame. Corsero nelle vicine botteghe, a casa Saladini, si impadronirono di quante bottiglie di liquori e di vino trovarono, poi schiamazzando, sberciando oscenità, con gesti da trivio, bevettero come iene sitibonde ai piedi di coloro che poco prima avevano ucciso. Un sottotenente, di cui si conserva il nome, certo Rombolà – qualche tempo dopo periva in un incidente automobilistico ed il «Gazzettino» ne tesseva le lodi come fosse mancato un redivivo Achille – si avvicinò al Parroco, e mostrando i due impiccati, gli gridò sul viso: Voi stareste bene là in mezzo. È colpa vostra se così siamo ridotti.

Il buon prete lo guardò fisso, e sdegnosamente rispose: Voi pure stareste bene là in mezzo, per lo stesso motivo. E se ne andò, gonfio il cuore di orrore e di dolore, ma non tanto in fretta da non sentire il colonnello Dierich elogiare a piena voce, in un barbaro italiano, il sottotenente Rombolà per la preziosa opera svolta.

La dolorosa odissea del 31 Agosto non era ancora finita. A rendere completo il quadro si aggiunse l’incendio del forno e casa Saladini (il fabbricato è di proprietà di Michele Pagnan), rei di aver ospitato il Morgan in qualità di garzone. Anche le case dovevano temere l’ira nazifascista. In breve della casa non rimasero che le mura annerite e screpolate. Condotta a termine anche questa magnifica impresa, la formazione di S.S. corse sul Montello per continuare l’opera nefanda. Fu ripreso il rastrellamento rimasto incompiuto nel giorno prima, e vennero impiccati tre uomini ai SS. Angeli. Erano circa le 13  quando la colonna di autocarri e blindo mitragliatrici di ritorno, ripassò per Ciano al canto dei soliti inni con le solite urla bestiali.

Si venne più tardi a sapere che un ordine improvviso l’aveva richiamata a Montebelluna.

Le due vittime di Ciano penzolarono per 24 ore dalle finestre del primo piano dell’osteria Martinelli. Un cartello minacciava le più gravi rappresaglie al paese ove le salme fossero state toccate senza il benestare superiore.

Verso le ore dieci del primo settembre le due salme vennero tolte dalla forca. Quando furono deposti nelle casse, si videro i due miseri corpi solcati dai lividi della bastonatura inferta senza pietà. Il Morgan aveva un fianco profondamente piagato, il Bordin un braccio fratturato dalle percosse.

Vennero sepolti nel cimitero di Ciano. Tolte le salme, la padrona dell’osteria Martinelli salì nelle stanze dove erano stati legati i capestri. Constatò, allora, che erano scomparsi i denari depositati due sere prima nel cassettone.

Oltre ai due, orrendamente seviziati ed uccisi, Ciano ebbe a lamentare in quel rastrellamento anche tre deportati in Germania: Buogo Egidio, Buratto Battistino e Martinazzo Angelo. Martinelli Olvrado, invece, venne arruolato nei reparti alpini social repubblicani di nuova formazione.

Nei giorni seguenti le formazioni di S.S. portarono la loro delittuosa opera sulla sinistra del Piave.

Da Ciano si scorgevano i sinistri bagliori degli incendi di intere borgate..

La gente, in preda al terrore, non osava neppure parlare di quanto succedeva. Eppure le uccisioni, gli incendi, le distruzioni, i furti erano noti; si sapeva che a villa Morassutti in Montebelluna, sede del Comando delle S.S., vi era una sala di tortura, che un boia era incaricato della sistematica bastonatura dei prigionieri. Le suore, il personale ed i degenti dell’ospedale civile Carretta, limitrofo alla villa, sentivano le invocazioni e gli urli di dolore dei bastonati. Uno di Pederobba, a quanto in seguito si disse, sarebbe morto sotto i colpi bestiali. Si vedeva, si sentiva, si soffriva e si taceva senza quasi alcuna speranza di giorni migliori.

E i partigiani del Montello? I partigiani del Montello, essendo pochi e mal organizzati, come non avevano partecipato all’azione nella piana di Pieve di Soligo, non si mossero neppure durante i rastrellamenti.

Erano scomparsi.

Pare che, ancora da quell’epoca, chi fino allora li aveva sovvenzionati abbia sospeso ogni ulteriore corresponsione in loro favore. Da quel momento si sarebbero verificati nella zona alcuni reati contro la proprietà, di cui la voce pubblica avrebbe attribuito la responsabilità ai partigiani.

 * * *

 Trascorse qualche tempo in una relativa apparente calma.

Una sera due militi della Guardia nazionale repubblicana di Montebelluna, si presentarono in casa della signorina Maria Biadene per motivi di servizio. Appena sulla via del ritorno, furono assaliti dai partigiani. Uno riuscì a fuggire, l’altro, un appuntato, venne catturato, condotto sul Montello e, pochi giorni dopo, dicesi sia stato soppresso.

I repubblicani fecero sapere che il catturato era padre ai ben nove figli, che era un graduato di animo mite, di sentimenti italiani. I partigiani sparsero voce che nelle tasche del militare era stata trovata la lista dei nomi delle persone di Ciano sospette per insufficiente devozione alla repubblica sociale.

Si mormorò allora che i tedeschi avevano deciso di incendiare tutta Ciano per rappresaglia. la data era stata segnata: il 13 ottobre.

Il buon Parroco Don Carlo Massara, giustamente allarmato, non ebbe più pace finché una commissione di conterranei non si recò a Montebelluna al comando della guardia repubblicana a far sapere che la popolazione non aveva nulla a che fare con i partigiani.

La commissione andò, fece del suo meglio, e rappresaglie non ne avvennero.